Il momento del retrocomputing

Questo post inizia con una considerazione che può apparire banale. Poche invenzioni dell’uomo hanno avuto una evoluzione così rapida e strabiliante come il calcolatore elettronico, il computer. La fisica dei semiconduttori e la microelettronica offrono nuovi componenti, che l’industria trasforma in prodotti sempre più piccoli e potenti. E tale potenza non è solo all’interno di calcolatori in quanto tali, ma sta permeando ogni oggetto della vita quotidiana (a partire da smartphone, tablet, strumenti da lavoro, apparati domestici, autovetture e così via). Sembra la solita retorica da inserto della domenica, ma è innegabile che la ricerca scientifica e l’industria dell’informatica abbiano creato una sinergia introvabile in altri ambiti. Siamo passati in trent’anni dagli oltre 10 milioni di Commodore 64 (pressoché tutti isolati) a miliardi di smartphone che perennemente connessi, che veicolano testi, informazioni, immagini, video in tempo reale e in qualsiasi posto del pianeta.

Non si tratta solo di GHz o GB, ma di un progresso tecnologico su più ambiti: quello dei display con risoluzioni sempre maggiori e qualità delle immagini elevatissime, batterie a lunga durata (accanto alla progressiva riduzione del consumo energetico dei singoli componenti), miniaturizzazione progressiva. Se le batterie non avessero migliorato la durata, gli smartphone avrebbero una autonomia ridicola che li renderebbe pressoché inutilizzabili. D’altro canto, se i componenti non avessero ridotto notevolmente l’assorbimento, il miglioramento della capacità delle batterie sarebbe stato vano.

Per cogliere questa strabiliante rivoluzione è sufficiente fare un confronto con il mondo dell’automobile. È innegabile che le nuove autovetture siano formidabili, sia quelle elettriche che quelle a combustione, con prestazioni e consumi inimmaginabili, con elettronica capace di migliorare la sicurezza e rendere ogni viaggio più comodo e appagante. Ma – ci sia permessa questa esagerazione – si andava da Milano a Roma negli Anni ’70, ci si va oggi. Forse più comodi, forse più sicuri, probabilmente senza necessità di sosta per fare il pieno di carburante. Si fanno le stesse cose, in maniera molto più veloce. Si potrebbe affermare che anche nel caso dei personal computer valga lo stesso discorso. Non è raro sentire affermazioni del tipo: “con tutti questi GHz faccio le stesse cose che facevo vent’anni fa”. Forse, ma di sicuro non contemporaneamente. Nel caso del calcolo, della capacità di memorizzazione e della capillarità delle reti di telecomunicazioni il salto è ben più elevato. Oggi si fanno cose che trenta o quaranta anni fa erano inimmaginabili. È sufficiente pensare ad una videoconferenza multipunto o alla quantità di dati memorizzata nei datacenter di Google o Amazon per rendersene conto. Le dirette sui social media, video e immagini ad altissima risoluzione trasferiti in pochi secondi a distanze enormi. Biometria, videogiochi più realistici dei film di pochi anni fa. Senza menzionare l’Intelligenza Artificiale, che si manifesta a tutti nel riconoscimento di immagini, nel riconoscimento della voce umana e del linguaggio naturale, giusto per citare due esempi. È disponibile una tale potenza di calcolo, memorizzazione e comunicazione (le tre cose vanno sempre assieme) che il passato è davvero archeologia.

Questo salto genera stupore.

Lo stupore porta l’uomo a soffermarsi sul nuovo che si affaccia e soprattutto a voltarsi indietro per guardare da dove è partito.

Il lasso di tempo trascorso è così breve che chiunque, oggi, può guardare al futuro (mentre questo articolo viene scritto si parla di reti 5G e si smartphone con schermo pieghevole!) e, allo stesso tempo, guardare al recentissimo passato e, appunto, restare stupefatto nel constatare molti milioni di quei Commodore 64 sono stati molto probabilmente la “scuola” per molti dei programmatori più anziani di oggi.

Insomma: passato remoto (informaticamente parlando), fatto di oggetti assolutamente insufficienti per le esigenze attuali, e futuro prossimo coesistono nelle persone che hanno vissuto questa transizione. Chi ha ricevuto un Commodore 64 da bambino è (potenzialmente) un professionista dei giorni nostri che scrive software usato da milioni di persone sugli smartphone di cui si parlava in apertura. Ma nessuno si sognerebbe di restare ancorato al Commodore 64: a parte un po’ di svago, è uno strumento del tutto inutile.

Vale lo stesso per le autovetture? No. Una gloriosa FIAT Ritmo degli Anni ’80 potrebbe fare lo stesso servizio di una moderna Punto, ammesso di voler stare un bel po’ più scomodi, molto meno sicuri e sorvolare sull’inquinamento.

Ci sia consentito esagerare nuovamente, spostando l’attenzione sulla stampa. Gutenberg, inventore della stampa a caratteri mobili, ha scatenato una rivoluzione fondamentale per l’umanità. Rivoluzione iniziata nel Quindicesimo secolo e proseguita nei secoli, passando per l’incisione xilografica e la successiva litografia, sino ad arrivare ai sistemi moderni industriali e personali (macchine da scrivere, fotocopiatrici, stampanti e così via). Secoli di progresso che hanno man mano migliorato una idea rivoluzionaria. Ma Gutenberg non ha vissuto abbastanza da vedere la stampante laser o le rotative moderne!

Non è solo il salto a generare stupore, ma il tempo brevissimo in cui avviene.

L’evoluzione tecnologica informatica, invece, procede così velocemente che una tecnologia oggi innovativa è soppiantata in breve tempo da un’altra altrettanto rivoluzionaria e quella obsoleta è realmente inutilizzabile. Banalmente, molti sistemi degli Anni ’80 non hanno ricevuto alcun aggiornamento per il cosidetto “Millennium Bug”, dunque non sono in grado di gestire date successive al 31 dicembre 1999. La maggior parte delle comunicazioni client/server odierne transitano su connessioni cifrate, i cui protocolli evolvono progressivamente al fine di sanare versioni non sicure. Tali protocolli sono ovviamente onerosi dal punto di vista computazionale e dovrebbero essere implementati sui sistemi operativi più vecchi. Più dati da elaborare implicano anche più memoria per poterli gestire in maniera efficiente, ma le macchine più vecchie a 16 bit non possono indirizzare. Se e quando arriveranno i computer quantistici, anche la (fanta)scienza odierna apparirà più che superata.

Dunque, mentre si procede velocissimi verso il futuro, ci si volta nostalgicamente al passato prossimo a guardare le glorie di pochi anni fa.

È l’anima del retrocomputing: preservare la storia dell’informatica, attraverso le persone, l’hardware, il software e l’evoluzione scientifico teorica che ha mosso i passi nella prima metà del ventesimo secolo ed oggi è imprescindibile in qualsiasi aspetto della vita di tutta l’umanità.

A parte questa considerazione romantica e “per addetti ai lavori”, è innegabile che il retrocomputing stia avendo un momento di grande visibilità nei media. Alcune serie TV, ambientate nei decenni passati più recenti, mostrano spesso home computer ben noti e questo alimenta il senso di coinvolgimento dello spettatore quaranta/cinquantenne all’interno dell’opera.

Più generale, è verosimile che ci siano diversi motivi perché questo avvenga:

  • Arrivano ricorrenze importanti (il trentennale del web, il quarantennale di questo, il cinquantennale di quell’altro) che sono celebrate ricordando i protagonisti e, ovviamente, le macchine del tempo (recente) che fu.
  • Molti professionisti della prima era dell’informatica (diciamo Anni ’70 e Anni ’80) stanno uscendo dal mercato del lavoro e inevitabilmente questo mette in moto un meccanismo “nostalgia”. Oltretutto, le tecnologie di quegli anni sono irrimediabilmente obsolete, come se appartenessero ad un mondo di qualche secolo fa.
  • Purtroppo sono venuti a mancare alcuni degli elementi di spicco della rivoluzione informatica (Dennis Ritchie, Steve Jobs, Paul Allen, ….) e questo ha trascinato la parte “emozionale” di un mondo che non potrebbe più vivere senza ciò che queste persone hanno contribuito a rendere universale.
  • Cresce il numero di appassionati, soprattutto tra coloro che oggi lavorano (e hanno una qualche disponibilità economica) ed erano ragazzi o adolescenti quando stava fiorendo la rivoluzione degli home computer; si potrebbe dire che oggi hanno la possibilità di comprarsi quel computer che allora potevano solo sognare o magari hanno la possibilità di ricreare quella configurazione con cui hanno passato innumerevoli serate divertenti e appassionanti. È un processo analogo a quello che porta marchi come LEGO a realizzare dei set come il gigantesco Millennium Falcon che costa quasi 800 euro: non è certamente un oggetto che può interessare i bambini (occorrono molti giorni per poterlo montare in solitaria ed ha dimensioni tali da renderlo ben poco giocabile!), ma è destinato a chi era bambino negli Anni ’80 e oggi è un lavoratore con ampia disponibilità di spesa.
  • Cominciano a vuotarsi le cantine e le soffitte, vengono alla luce vecchi computer che, alla luce di quanto scritto sopra, sono considerati dei reperti fossili di inestimabile valore. Non è raro vedere annunci del tipo “vendo rarissimo Commodore 64”, dove “rarissimo” mal si sposa con gli oltre 10 milioni di pezzi venduti negli anni!
  • Molte aziende hanno la necessità di smaltire vecchio materiale informatico obsoleto, magari lasciato accatastato in magazzino e questo materiale, per i motivi visti sopra, talvolta è intercettato da qualche appassionato e valorizzato per nuovi utilizzi (collezionismo, disattica, esposizioni e così via).

Passione, nostalgia, moda, speculazione (!), cultura: qualunque sia il movente o la combinazione di interessi, il retrocomputing è attualmente un fenomeno piuttosto diffuso e attorno al quale cresce l’interesse anche per i non addetti ai lavori. Si è inclusa anche la speculazione tra i motivi di interesse: mercatini cittadini e siti di vendite online sono invasi da “rarissimi Commodore 64”, “introvabili Apple II” e così via: insomma, c’è chi ha fiutato un business e cerca coglierne le opportunità. Si moltiplicano anche eventi e pubblicazioni a tema, queste ultime svolgono il preziosissimo compito di scrivere memorie (spesso attraverso interviste o testimonianze dirette) che altrimenti sarebbero irrimediabilmente perdute. Prossimamente sarà fatta una recensione dei principali libri italiani e internazionali che si occupano di retrocomputing.

Ventuno anni fa Apple acquisiva NeXT

Era il 20 Dicembre 1996: Apple acquisiva NeXT. Gli occhi del mondo erano puntati sul ritorno di Steve Jobs al timone dell’azienda fondata anni prima e grandi aspettative crebbero attorno alla fusione tra le tecnologie del Mac e del sistema operativo NeXTStep. In pochi anni arrivarono l’iPod, l’iMac, poi Mac OS X, poi portatili e desktop sempre migliori. Steve Jobs era riuscito nel miracolo di risollevare Apple. Nel 2007, undici anni dopo, Apple stravolge il mercato della telefonia con l’iPhone, l’anno successivo reinventa il mercato delle applicazioni (l’App Store venne lanciato nel luglio 2008) e nel 2010 con il lancio dell’iPad inventò il mercato dei tablet realmente utili.

A 20 anni da quella fusione, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: macOS, iOS, tvOS e watchOS hanno tutti una base comune che affonda le radici in NeXTStep. A rileggere l’annuncio dell’acquisizione e dei piani strategici su MacOS, possiamo dire che tutte i buoni propositi si sono realizzati:

Our goal is a new OS that will set the standard for computing in the 21st Century. By blending Apple’s and NeXT’s advanced software (as you know, at the end of 1996 we entered into an agreement to acquire NeXT), we aim to create a software platform that breaks the barriers of current operating systems and will be able to take full advantage of the high performance microprocessors of the future. This OS should make it easy for developers to quickly create breakthrough applications, while providing you with the performance, reliability, speed, ease of use, and the greatly enhanced multimedia and Internet capabilities you’ll want in the 21st Century. Our first customer release of this new OS, intended for early adopters of new technology, is called Rhapsody, and should be ready within a year; with a full customer release slated for mid-1998.

Questo anniversario è anche l’occasione per sottolineare ancora una volta che “la storia si scrive alla fine”.

Infatti, nel 1995, Randall E. Stross scrisse nel libro STEVE JOBS & THE NeXT BIG THING che NeXT poteva essere considerata come il più grande fallimento dell’imprenditoria della Silicon Valley, avendo “bruciato” 125 milioni di dollari. N anni dopo che quell’affermazione è stata scritta, Apple comprò NeXT per 430 milioni di dollari, oltre tre volte l’investimento iniziale.

Primo browser e primo sito web italiano su NeXT

(questo non è un pesce d’aprile)

Domani e dopodomani, 2-3 Aprile 2016, si svolgerà a Roma il Primo Raduno Nazionale del Retrocomputing Club Italia, di cui ho già scritto qualche settimana fa.

Al raduno porterò la NeXTStation N1100, con la SoundBox e (purtroppo!) un triste monitor LCD Philips. Dico purtroppo perché non mi è stato possibile trasportare il grosso monitor NeXT MegaPixel Display da 17″ dal caveau in Sardegna sino alla Capitale.

In occasione dell’evento, per rendere più ricca la condivisione con coloro che visiteranno la mostra, ho installato sulla N1100 il browser Nexus (che inizialmente si chiamava World-Wide Web) scritto da Tim Berners-Lee… mentre inventava il web! Ovviamente il Nexus non è in grado di visualizzare i siti moderni (ma neppure quelli piuttosto datati), sia per complessità delle pagine, sia per la presenza di componenti ignote ai quei tempi (CSS, Javascript), sia per il supporto al solo HTTP 1.0, che rende pressoché impossibile (salvo intervenire con un proxy nel mezzo, ndr) accedere ai moderni siti virtualizzati su una singola istanza di Apache.

L’ideale sarebbe stato avere il primo browser della storia con il primo sito web italiano della storia…

Ho dunque contattato gli ex-colleghi del CRS4 (Andrea Mameli, Gavino Paddeu, Paolo Sirigu, Pietro Zanarini e Antonio Concas per l’indispensabile supporto sistemistico), i quali hanno riesumato a tempo record l’homepage del CRS4 di quegli anni (credo si tratti della home del 1993) che si vede perfettamente. Ecco qui di seguito uno screenshot del Nexus che mostra la pagina del CRS4 raggiungibile all’indirizzo http://history.crs4.it/

Una curiosità: nel pannellino informativo del Nexus, Tim Berners-Lee definisce il proprio lavoro “An exercise in global information availability”. Un esercizio che, davvero, ha cambiato il mondo.