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LEGO e retrocomputing

I mattoncini LEGO rappresentano uno straordinario compagno di giochi per grandi e piccoli, strumento per stimolare la creatività, supportare il divertimento, aumentare il senso di collaborazione in un gruppo. Diverse generazioni sono cresciute con i mattoncini danesi e tanti di coloro che hanno iniziato con i classici modelli della linea City man mano sono passati al tema Technic, fino ad arrivare ai set programmabili della linea Mindstorms, concepita negli Anni ’90 insieme al MIT.

I bambini “che furono” sono oggi adulti e forse anche per questo lo spirito della LEGO si è evoluto notevolmente. Alcuni dei prodotti di oggi sono grandi e complessi (oltre che inevitabilmente costosi), altri sono legati ad ambiti più legati a esperienze “da non più bambini”. Tant’è che LEGO ha realizzato numerosi set di autovetture (giusto per fare un esempio) che sono senza dubbio più vicini agli interessi dei genitori più che dei fili. I nuovi prodotti LEGO, che si affiancano alle linee classiche, coccolano il pubblico che, appunto, è cresciuto con i set per bambini e oggi lavora, ha possibilità di spesa e di coltivare la passione per la progettazione e la costruzione con lo slancio che solo un adulto può avere.

Alla LEGO lo hanno ben chiaro, ed infatti i modelli più caratteristici sono accompagnati, nella presentazione su web, dallo slogan inequivocabile: Adults welcome. È un messaggio fortissimo: se hai giocato e sognato da piccolo con i mattoncini LEGO, puoi farlo anche oggi con modelli grandi e complessi, “a misura di adulto”. E gli AFOL (Adult Fan Of LEGO) non si sono certo tirati indietro: le proposte sono in continuo aumento, così pure le iniziative e le occasioni “social” tra gli appassionati di costruzioni.

Chi scrive e cura questo museo virtuale è da sempre appassionato di costruzioni LEGO. Prendendo la licenza di parlare in prima persona, ho avuto il mio primo set (o meglio, il primo che io ricordi) nel 1979 ed era un set della linea Space.

Negli anni, ho giocato pressoché ininterrottamente, sino poi, in età adulta, arrivare alla serie Mindstorms. Ho realizzato diversi prototipi controllati da smartphone e, più di recente, ho creato un modello Technic per fare una demo presso un cliente dell’azienda per la quale lavoro. Il bello dei mattoncini LEGO è consentono di unire diverse passioni. Perché non far incontrare le costruzioni LEGO con il retrocomputing? Complici le restrizioni dell’era COVID-19, ho deciso di iniziare costruire delle riproduzioni dei computer storici, curando ovviamente l’aspetto estetico, la fedeltà all’originale e la qualità complessiva del modello visto con gli occhi dell’appassionato di costruzioni. Ovviamente non sono il primo, esistono già altre bellissime. Ad esempio, il bellissimo Apple Macintosh realizzato alcuni anni fa da Chris MacVeigh.

Un delizioso modellino di Apple II fu esposto durante il Festival del Vintage Computer Club Italia nel 2018.

Senza ovviamente perdere la natura di questo blog, nei prossimi post saranno condivisi alcuni modelli LEGO di computer storici. Sarà anche l’occasione per parlare, tra le altre cose, dell’evoluzione dei linguaggi di programmazione.

Emergenza COVID-19

Questo articolo, purtroppo, tratta di un argomento estremamente grave, doloroso e pericoloso per tutti. Non si vuole esprimere una opinione ma solo lasciare traccia di un evento che segnerà inevitabilmente il nostro futuro.

Nel momento in cui scrivo queste note, nel mondo si contano quasi 200mila contagiati, 8mila morti di cui quasi 3mila sono in Italia (secondo Paese più colpito al mondo, dopo la Cina). I due screenshot qui sotto sono stati presi in orari differenti e probabilmente aggiornati in orari differenti, dunque sono leggermente discrepanti.

Situazione mondiale al 18 marzo 2020
Situazione italiana al 18 marzo 2020

Questo virus si contagia in modo estremamente rapido, può essere ospitato da individui senza sintomi e, dunque, proseguire la diffusione in maniera silente, per poi esplodere nei soggetti più deboli.

Sono stati già fatti numerosi paragoni (la SARS, la Spagnola, Ebola) per la disperazione che questo agente porta con sé. E sono state fatte tante ipotesi sulla genesi del virus, sul perché si sia diffuso in particolari zone e perché sia ancora così difficile arginarne la diffusione.

Una cosa è certa: il COVID-19 ci ha trovati impreparati, deboli e, con buona pace dei razzisti del mondo, “tutti sulla stessa barca”. Colpisce Paesi ricchi e poveri, da oriente ad occidente, da nord a sud. Colpisce i vecchi, gli adulti, i giovani (seppur in misura minore), colpisce uomini e donne. Colpisce la gente comune e i personaggi famosi, non fa distinzione di classe né di cultura. Il COVID-19 è l’appiattimento totale o, se si preferisce, la constatazione che siamo davvero tutti uguali e questo problema riguarda tutti. E che, per risolvere il problema, abbiamo bisogno di scienza, non pozioni magiche.

I danni sono enormi per tutti: lavoro, economia, scuola, benessere complessivo delle persone. Le scuole sono chiuse, tutte le attività ricreative sono sospese: i nostri giovani e giovanissimi comunque saranno provati. Tutti i settori produttivi sono bloccati o in difficoltà. Coloro che non stanno guadagnando, ovviamente non possono spendere; coloro che stanno ancora guadagnando (si pensi, ad esempio, al personale degli ospedali, spendono lo stretto necessario).

Qualcuno già adesso subisce danni economici enormi: se tutte le attività commerciali non essenziali sono chiuse, evidentemente chi dipende da quelle attività avrà un impatto enorme. Poi arriverà l’onda lunga di chi oggi sta lavorando ciò che ha “acquisito” prima dell’emergenza e che oggi non sta costruendo il business di domani.

Non è possibile sapere quando tutto questo finirà (due settimane? un mese? due mesi? qualcuno parla dell’estate 2020) e quali saranno le modalità di ripresa. E se ci sarà una vera ripresa oppure se il COVID-19 tornerà in autunno come l’influenza stagionale. Quali le conseguenze per l’occupazione, quali le situazioni che non potranno essere recuperate (ad esempio fallimenti o stagioni completamente perse). Quali le azioni di sciacallaggio che inevitabilmente verranno escogitate dai peggiori.

Tre le speranze e l’augurio per tutti: che questo dramma finisca presto, che possiamo recuperare la normalità in breve tempo, che possiamo aver imparato una bella lezione di solidarietà.

E che il prossimo post torni a parlare dei nostri amati computer storici.

A proposito: il Vintage Computer Festival Italia è stato ovviamente cancellato. Un piccolo esempio dei danni che il COVID-19 sta arrecando alla cultura.

Gli slogan del momento non ci appartegono, ma “Andrà tutto bene” è un augurio di cui abbiamo bisogno.

Sun Ultra Enterprise 450 Server

Fabio Concato, nella meravigliosa Rosalina, descriveva la sua bella come “novanta chili di libidine e bontà”. La Ultra Enterprise 450 potrebbe essere descritta con le stesse parole!

La macchina oggetto di questo recupero (trattasi di acquisto di materiale usato) non è esattamente in ambito retrocomputing: si tratta di hardware prodotto alla fine degli Anni ’90, precisamente nel 1997. Ben oltre, dunque, la soglia “psicologica” e storica del 1987. Questa Ultra, però, è di interesse perché è degna rappresentante delle ultime macchine “vecchio stile”: grosse, pesanti, basate su architettura non-x86 e con uno Unix non opensource. Potenza e robustezza di una accoppiata perfetta hardware e software pressoché impossibile da raggiungere sulla piattaforma Intel.

La Sun Ultra Enterprise 450

Oggi, nel 2019, una macchina del genere sarebbe sicuramente sostituita da un servizio in cloud con una distribuzione Linux. In poco più vent’anni, dunque, non è solo aumentata la voracità delle applicazioni (più velocità, più memoria, più storage), ma è cambiata totalmente la modalità di lavoro: non si acquista “il ferro” – come si è soliti chiamare l’hardware – ma lo si affitta “un tanto al chilo”.

A parte dimensioni e peso, appaiono lontanissimi il clock di sistema e la memoria a disposizione. La CPU aveva un clock massimo di 480MHz e non c’erano ancora processori multi-core: il parallelismo era ottenuto installando più CPU (in questo caso, fino ad un massimo di 4 unità UltraII). La memoria RAM massima era di 4GB, non troppo lontana dai tagli odierni, quantomeno come ordine di grandezza: la particolarità è che per raggiungere tale quantitativo occorreva installare ben 16 moduli DIMM (da 256MB ciascuno), mentre oggi sono disponibili singoli moduli da 32GB! La capacità di storage era decisamente notevole per l’epoca, potendo contare su un massimo di 20 slot per dischi con capacità massima di 36GB. Si parla, dunque, di 720GB complessivi. In 22 anni la capacità del singolo disco è passata a 14TB, ovvero 20 volte la capacità di 20 dischi, circa 400 volte la capacità del singolo disco. Per non menzionare le unità SSD: un disco da 32GB con velocità pazzesche costa oggi meno di quanto costasse all’epoca il solo mouse originale Sun Microsystems.

Il retro della macchina. In basso sono visibili l’alimentazione ridondata con due alimentatori indipendenti.

Sopra le dimensioni, il peso, la velocità, la memoria RAM e lo storage, c’è il consumo di energia: quasi 2KW di assorbimento e una quantità mostruosa di calore prodotto. Tant’è che era raccomandata una distanza di almeno 1 metro attorno alla macchina (se non installata su armadio rack in locale climatizzato) per garantire adeguato smaltimento del calore.

La Ultra Enterprise 450 ha ingombri importanti e occupa quasi tutto il bagagliaio di una grossa autovettura. È stata ruotata lateralmente per evitare scivolamenti con le ruote e non superare la linea di cintura del portabagagli.

Questa Sun Ultra Enterprise 450 continua ad alimentare la collaborazione con Bit.Old ed è stata collocata presso l’esposizione di Collefferro, in attesa di avviarne il resturo (pulizia, verifica di tutti i componenti e installazione del sistema operativo ex novo).